Lello Spontini: «”Viva San Calogero!” è un disco autobiografico»

Intervista di REDIFEN

Ciao Lello, come va? Ti prendo in un momento delicato?

Avevo in programma un bidet. La prossima volta sii più puntuale.

 

Perché fino a qualche giorno fa sfuggivi ai microfoni e oggi invece ti concedi per un’intervista?

Le interviste non sono sempre facili da gestire, c’è sempre il rischio che qualcuno travisi le tue risposte per battere sulla cassa del sensazionalismo. Ora, se l’obiettivo primario del mio progetto è fare sensazionalismo (ma non battere sulla cassa), dov’è che la maestria dell’intervistatore si vede? Sarebbe come gettare del cibo ai cani. Di fronte alle mie parole bisognerebbe soltanto spegnere i microfoni perché sono volontà pura.

Il tuo pubblico, al contrario della stampa, stavolta si sta facendo desiderare. Ti consideri e/o ti sei mai considerato artisticamente seducente?

Io non vivo nessuna dimensione d’artista, perché non sono un’artista, men che mai seducente. Non vedo nessuno e non voglio vedere nessuno. Non ho nessuna considerazione per l’uomo o per la razza umana. Qualsiasi uomo, se avesse la faccia tosta di rinunciare finalmente a (non) rappresentarsi, civilmente e artisticamente, verrebbe a patti con la sua naturale ferocia, ovvero: guardarsi dentro e tacere. Non ce l’ho con nessuno – quindi posso assolvere anche me stesso. Il pubblico lo sa e per questo mi ignora. Questo nuovo disco l’ho scritto per sette, otto amici trincerati in una più che stretta falange della Sicilia orientale. Stop.

 

 “Viva San Calogero!” ha presupposti religiosi o ci stai prendendo in giro?

Ha presupposti religiosi E, pertanto, vi sto prendendo in giro.

 

In quanto collaboratore non posso dire di non poter prevedere la tua risposta, ma se ti chiedessi di scegliere il tuo titolo preferito del tuo nuovo album, cosa mi risponderesti? 

“Sanzionismo!” è il mio capolavoro. Ma soprattutto non è ‘mio’.  Il punto più elevato di un album autobiografico.

 

E quello che invece avresti scartato ma sei stato costretto a inserire per riempire uno spazio vuoto?

Tutte le canzoni sono uno scarto.

 

Non mentire!

Non sarei io. Ogni canzone, insieme al suo autore, deve primariamente scartare sé stessa. Ma qui salta fuori un ulteriore fondamentale discrimine: ogni canzone è scissa dal suo autore. Nonostante l’autobiografia. La musica è volgare. I suoi codici sono troppo precisi, persino nelle forme moderne ed apparentemente più infelici e sgraziate, vedi la trap per esempio. C’è troppo intellettualismo che impedisce di affrontare i problemi. Non è uno voglia delle gratificazioni, io non ce l’ho con nessuno, ce l’ho solo con me stesso, credo di stare facendomi fuori a poco a poco. E questo disco suona già come un necrologio in vita.

I featuring hanno l’obiettivo di oleare gli ingranaggi del marketing, sei d’accordo con me o pensi che ce l’avresti fatta anche da solo?

Si nasce e si muore soli, il problema è che in uno si è già in troppi. Gli altri mangino pure col marketing, se vogliono. In “Viva San Calogero!”, come per i lavori precedenti, non c’è nessun intento commerciale. Non è nemmeno un ‘modo intelligente per prendersi in giro’, il cui sottotesto è sempre e comunque il medesimo: ‘cagatemi’. È gente che ha chiesto d’esserci e c’è stata, un po’ come te del resto.

Cosa mi dici di Pelios?

Un ingegnere del suono che meriterebbe di più. Gli contesto soltanto la scelta di non esibirsi completamente in playback. Fosse per me manderei in playback pure l’opera lirica. Non se ne può più della dimostrazione pubblica del talento. Accetto la manualità solo nei mestieri, il muratore, l’imbianchino. Dov’è la scoperta nell’andare a vedere dal vivo degli impiegati del catasto (o peggio ancora, dei professionisti laureati) che giocano a fare le rock band come adolescenti in garage, constatare che sanno suonare, che il disco non mi sta prendendo in giro, sono reali, esistono e fanno delle cose? La risposta è univoca: abbordare ragazzine in fregola prima di passare al “concerto” successivo. Ancora una volta ci troviamo dinanzi all’uomo e alla sua giustificazione del proprio stare al mondo, al principio di prestazione sessuale: questo è Pelio.

 

E del parto di “Ornella”?

“Ornella” nasce da una gestazione travagliata. Ho scritto la prima bozza l’indomani di una gita fuori porta a Noto Antica, nel Parco Archeologico dell’Alveria. Doveva essere il 2015 o giù di lì. Il titolo originale era “Le nostre amate mura”, titolo che mi fu ispirato dalle mura megalitiche del sito storico, ancora visibili a circondare alcuni edifici e il castello. L’Eremo della Santa Maria di Provvidenza, la Chiesa del Carmine…conservo un bel ricordo di quel pomeriggio! È rimasta nel cassetto per anni e diverse volte ha cambiato fisionomia prima di assumere la forma attuale, quasi del tutto epurata dal testo, ormai desueto. Nonostante le apparenze descrittive ed esperienziali, la gita conta poco o nulla. “Ornella” è un omaggio al personaggio omonimo de “La figlia di Iorio”. D’Annunzio amava così tanto la sua opera che rinunciò persino alla presenza di Eleonora Duse pur di portarla in scena nei tempi prestabiliti. Lei ci rimase malissimo, nonostante la loro relazione fosse già in crisi. Da qui il nome ‘Ornella’ cominciò a diffondersi a macchia d’olio su scala nazionale, complici certamente Ornella Vanoni e – più tardi – Ornella Muti. Musicalmente comincia come un brano degli M83, si evolve imitando risibilmente i Pet Shop Boys, prima di arenarsi in un bridge massicciamente elettronico degno del Gigi D’Agostino più lento/violento. Uno smacco alla commerciabilità delle cose. Solo in “Sanzionismo!” si esce fuori dai soliti giri, grazie soprattutto al sapiente apporto di Ferdinando Ferraguto.

Ferdinando Ferraguto? Ma chi lo conosce, scusa?

Ora hai capito che i featuring non sempre hanno l’obiettivo di oleare gli ingranaggi del marketing? [ride]

 

Non pensi che una scelta così possa costarti la faccia?

La mia reputazione è naufragata nel momento stesso in cui ho deciso di espormi al pubblico ludibrio. Non ho nulla da perdere e me ne dispiaccio. Vorrei vincere molti milioni al gioco d’azzardo solo per il piacere di potermi spogliare di tutte le ricchezze. Perdere tutto, essere ottimamente pessimisti. Col pessimismo si possono scongiurare e si sono costruite delle cose. L’ottimismo è funesto. L’ottimismo ha generato solo guerre, stragi, distruzioni. Ottimismo, giornalismo e socialismo sono stati i tre veri flagelli della cultura occidentale. Nietzsche aveva visto chiaro, le guerre mondiali e tutto il resto. Qual è la terza? Il “tutto il resto”, la trans-nazionalizzazione economica. Noi oggi siamo tutti la mancanza di Dio, questa invenzione meravigliosa, l’unica capace di liquidare il teatrino conflittuale della soggettività, in questo periglioso e agonizzante post-moderno para-identitario.

“Sanzionismo!” in un clima politico ambiguo come il nostro, sai bene che non passerà inosservato come titolo…

Siamo il belpaese che è naufragato. Ma “noi fascisti ce ne freghiam dei sanzionisti!” [cita una canzone di Daniele Serra]

Lello, hai tutti i tuoi fans schierati davanti, digli qualcosa che li leghi definitivamente a te sulla fiducia.

Ascoltate il disco.

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